AURELIO COLASANTI

Aurelio Colasanti nasce a Roma, in una piovosa mattina del 5 novembre 1914, in un grande appartamento al primo piano del civico 64 di via San Teodoro.

Costretto sin da subito a seguire la tradizione familiare, particolarmente caldeggiata dal padre Tito, noto magistrato della Corte d’Assise di Roma, che prevedeva la nascita dei figli rigorosamente in casa con il solo ausilio di una esperta allevatrice, il povero Aurelio si trovò dopo poche ore dalla sua nascita già orfano di madre: l’emorragia che colpì donna Sofia era di una gravità tale che la pur esperta Carmelina la battezzò come un “inconveniente” di difficile risoluzione. Con delle forbici normali accuratamente disinfettate nell’acqua bollente tagliò il cordone ombelicale. Non perdendosi d’animo, mentre donna Sofia si predisponeva a rimettersi nelle mani del Signore, la levatrice continuò ad occuparsi del bambino; dopo averlo ben lavato e asciugatolo fasciò dal collo ai piedi con una striscia di stoffa bianca alta circa 15 centimetri e molto lunga: doveva mantenergli diritta la schiena e le gambe.

Aurelio non conobbe che le amorevoli e pietose attenzioni della sorella di papà Tito, che si dedicò allo sfortunato nipotino come se fosse stato il figlio che non aveva tanto desiderato ma che non avrebbe mai avuto, vivendo la particolare condizione della zitella con prole con una dignità encomiabile.

La profonda religiosità del padre portò il piccolo Aurelio a fare una precoce conoscenza dei suoi “fratellini più grandi”, così come aveva imparato a chiamare i padri crucigeri della vicina chiesa di San Giorgio al Velabro . Iniziò la scuola elementare al più prestigioso collegio di San Giuseppe de Merode, da cui era ovviamente passato anche papà Tito. Trascorse gran parte della sua vita da studente in quello splendido edificio di piazza di Spagna, sino al compimento della maggiore età quando si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’università Sapienza nella nuovissima sede della città universitaria del quartiere tiburtino.

 Desideroso di seguire le orme del padre in magistratura, Aurelio si dedicò con grande impegno agli impegnativi studi di legge che una università così prestigiosa ed impegnativa richiedeva, tanto da laurearsi in quattro anni, con il massimo dei voti; la discussione della tesi di laurea: ”L’esercizio di un diritto e l’adempimento di un dovere come causa di esclusione del reato: natura giuridica, concetto, regime di tale scriminante” meritò  la lode ed il bacio accademico.

 Ormai lanciatissimo verso una promettente carriera in ambito giudiziario, Aurelio venne però inaspettatamente dirottato verso la polizia di stato da degli inattesi e per certi versi poco credibili, a detta dello stesso papà, fallimenti al concorso in magistratura. Ne tentò ben quattro prima di rassegnarsi e seguire il lungimirante consiglio del padre e vincere al primo tentativo il concorso per vicecommissari nella polizia di Stato.

 La sfortuna che aveva conosciuto nei suoi infruttuosi tentativi di seguire le orme del padre sembrava magicamente scomparsa all’interno del nuovo ambiente lavorativo; ogni porta si apriva ai suoi desideri, sembrava nato per svolgere quella professione.

  La sua prima esperienza, prima di passare alla leggendaria squadra mobile di Roma dove si sarebbe fatto conoscere per le sue qualità che lo avrebbero portato ad una meritata promozione a Commissario, la svolse però al primo reparto celere di stanza nella sua città natale. Aurelio avrebbe sempre considerato quella esperienza come una condicio sine qua non per i successi che gli arrisero alla squadra mobile: “altamente formativa per il carattere ed il naturale modus operandi di un bravo funzionario” soleva ripetere ai giornalisti o ai colleghi che gli ricordavano quella esperienza.

Non mostrò la stessa benevolente riconoscenza nei confronti del suo collega più anziano che aveva preso da qualche anno il posto così ricordato con tanto affetto e simpatia, giudicando senza mezzi termini “una gran perdita di tempo” l’incrocio professionale con il commissario capo Marsilio Marsili che ebbe luogo in due circostanze separate a distanza di circa un anno l’una dall’altra.

 Molto probabilmente, questo atteggiamento di malcelata ostilità nei confronti del collega del primo celere è da addebitarsi alla reticenza con cui si vide costretto a distogliere del tempo prezioso alle sue indagini, prima quelle relative al duplice omicidio dei notai Angelucci e  Delle Monache e poi quelle appena imbastite sulle inquietanti morti avvenute all’ospedale Santo Spirito in Sassia.